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Published on novembre 15th, 2020 | by Perri

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Cento anni dell’Ippodromo di San Siro: storie di uomini e cavalli specchio dei tempi

Se il compianto Gigi Proietti fosse stato milanese, per la sua “Mandrakata” sarebbe venuto qui, all’Ippodromo di San Siro. Magari avrebbe fatto una  battuta sulla riproduzione del “Cavallo di Leonardo” una delle statue equestri più grandi al mondo, realizzata dalla scultrice statunitense Nina Akamu e ricavata dai disegni originali del maestro di Vinci, quelli del monumento mai realizzato per Francesco Sforza. Qui si celebra, con l’aiuto del genio di Leonardo, la grandezza dell’animale che dell’Ippodromo è stato, è e sarà ancora il centro, malgrado i cambiamenti epocali, malgrado la crisi dell’ippica, malgrado le altre destinazioni d’uso dell’impianto di proprietà di Snaitech.

Da Leonardo a Mandrake, il cavallo ha accompagnato, più di tutti gli altri, la storia dell’uomo, affascinandolo, stregandolo, sorreggendolo. Attorno all’Ippodromo di Milano, che festeggia i cent’anni, è passata la vita della città, tra miserie e nobiltà, fortune costruite e dilapidate. L’Ippodromo di San Siro, su una superficie di 600 mila mq, conta oltre 70 giornate di gara all’anno con oltre 500 corse, ma non è solo un grande impianto sportivo. Dal suo prato, osservando le tribune si può leggere lo scorrere intricato dei destini umani. Per la sua architettura e per il suo ruolo di testimone del tempo è l’unico impianto ippico al mondo diventato “Monumento di interesse nazionale”. L’Ippodromo, com’è oggi, viene inaugurato 100 anni fa. Il concorso della “Società Lombarda per le corse dei cavalli  indetto nel 1911, lo vincono Paolo Vietti Violi e Arrigo Cantoni. I lavori cominciano nel 1914 ma vengono rallentati dalla Grande Guerra. Vietti Violi alla fine rimane solo a completare l’opera. Nato in Svizzera da genitori italiani, laureato a Parigi, Vietti Violi è un cittadino del mondo e per questo andrà, grazie al successo milanese, a costruire altri ippodromi. Questo complesso unico nel suo genere diviene infatti un punto di riferimento. L’utilizzo del cemento armato per le tre tribune permette di sopportare carichi maggiori e di ospitare fino a 10 mila persone. Le nuove strutture consentono anche una maggiore visibilità della pista, orientata sull’asse est-ovest, contrastando l’abbagliamento. Sulle piste, battezzate tra le più selettive al mondo, grazie ai diversi tracciati, si affrontano alcuni tra i più grandi purosangue della storia, come Nearco, Donatello II, Tenerani, Ribot, Sirlad, Tony Bin, Falbrav. Alle redini, fantini dai nomi altrettanto leggendari: Enrico Camici, Frankie Dettori e Mirko Demuro.

Nella Mediolanum romana le prime corse, con le bighe, si svolgono nel Circo, più o meno tra via Magenta e via Torino. Prima di arrivare a San Siro, ci si sfida in campagna, alle porte della città, su un tracciato che ricalca l’odierno corso Buenos Aires. Poi si passa in piazza d’Armi, dietro al Castello Sforzesco. Infine, grazie allo sviluppo del trasporto pubblico, si individua (1888) l’area dove sorge il primo Ippodromo: San Siro.

Il bello della storia dell’Ippodromo è che, ancora adesso, è lo specchio della società. Tra Ottocento e Novecento è un rito sociale. Come la lirica, come la Scala, l’ippica e l’Ippodromo sono trasversali. Vi si incrociano l’aristocrazia arroccata sui privilegi e la rampante borghesia industriale, ma anche il popolo. Abiti e posti a sedere riflettono la differenza di classe: tight, cilindri e bastoni, bustini e gonne ampie, cappelli e ombrellini da sole, si mescolano a vestiti più dozzinali, di ruvido panno.

L’abito divide, la passione unisce. Ernest Hemingway si distrae dalle ferite e dai brutti ricordi del fronte del Piave descritti in “Addio alle Armi”. Luchino Visconti, in attesa di vincere come regista la Palma d’Oro a Cannes per il “Gattopardo”, vince come allenatore il Gran Premio di Milano, con un cavallo acquistato da Federico Tesio per poche lire (1.500), almeno per il valore. Agli sportelli del totalizzatore o ai chioschi degli allibratori, migliaia di persone si sentono per qualche minuto i padroni del mondo. Fino a stracciare il biglietto, delusi per non aver azzeccato il cavallo giusto. Come racconta Gianni Mura di Beppe Viola, per cui l’Ippodromo è uno dei posti più amati: “Dei cavalli sbagliati (“le bestie”) non ne ha mancato uno”.

E oggi, a cent’anni dalla sua inaugurazione, l’Ippodromo è ancora una chiave di volta. L’ippica non ha più il seguito di un tempo. Troppe suggestioni, distrazioni. E allora ecco concerti, eventi culturali e gastronomici, festival, musica, laboratori tematici per i bambini con animatori che propongono spettacoli e giochi di gruppo grazie a una collaborazione con la Fondazione Francesca Rava che qui porta anche gli ospiti delle sue Case d’accoglienza. Non manca, dunque, l’aspetto solidale. C’è il tour #scoprisansiro, carrozze e pony portano in giro i più piccoli. L’Ippodromo regala inoltre uno straordinario percorso botanico-artistico con le sue 55 specie di piante ed arbusti. Però in pista vanno ancora i cavalli. Insomma, come un tempo, crisi o no, a stupirci, come Leonardo e Mandrake, c’è sempre un maestoso puledro.

PUBBLICATO SU IL GIORNALE – EDIZIONE MILANO 14 NOVEMBRE 2020

IPPODROMO

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