Esperanto Ciù Ciù e Perlé zero Ferrari. Due sere con due grandi vini a Milano
Metti due sere di fine estate/inizio autunno a Milano, due luoghi diversi ma entrambi affascinanti, tre grandi chef, uno da una parte, due dall’altra, due ottimi vini, diversi tra di loro ma entrambi intriganti. Da memorizzare. Come le due cucine. La prima nel tardo pomeriggio, quando ancora le giornate permettono di stare all’aperto, semplice ma ricca nella scelta dei prodotti e nella loro preparazione con un cuoco stellato che si diverte sia che si cimenti con la sua fantasia sia che percorra la ghiotta tradizione, come in questo caso. Un barbecue conviviale. L’altra la sera, illuminata dalle luci della metropoli, da evento mondano, elegante, all’interno del palazzo della Permanente, placé, come di dice, con due cuochi stellati e la loro creatività. Piatti in ghingheri.
L’ESPERANTO NELL’ANTICO CONVENTO
Cominciamo in ordine temporale, con il barbecue nel giardino del Four Seasons, l’antico convento destinato ora a hotel di lusso, organizzato dall’azienda marchigiana Ciù Ciù per presentare l’Esperanto, un Offida che si fa capire da tutti.
Lo chef Lo chef che ha officiato al Four Seasons è, naturalmente, Vito Mollica. Nel bel dehors dell’hotel nel cuore di Milano tante isole gastronomiche: il casaro che preparava la mozzarella al momento, calda e filante; i taglieri dei salumi; la griglia con la fiorentina, i salamini, l’agnello; l’angolo delle Marche, con l’oliva ascolana e i vincisgrassi. A questo menu ben si adattava l’Esperanto, Offida doc rosso, capace di esprimersi in una lingua universale, partendo da Montepulciano (70 per cento) e Cabernet (30), vinificati in purezza in barriques di rovere selezionate, arrivati a noi dopo 24 mesi di invecchiamento, di cui almeno dodici in bottiglia. Di colore porpora, quasi, viola ha profumi intensi e sapori carnosi. L’azienda vitivinicola biologica Ciù Ciù è a Offida, nel cuore delle colline Picene. Fondata nel 1970 da Natalino ed Anna, oggi è gestita dai fratelli Massimiliano e Walter Bartolomei.
IL PERLE’ ZERO ALLA PERMANENTE
Tavoli concentrici, come in una riedizione della tavola rotonda, dove, all’apparenza, nessuno è più importante di un altro, anche se qualcuno dei tanti ospiti, forse, lo pensava. Bella l’idea, bello il luogo, il palazzo della Permanente, formidabili in simpatia e comunicazione i cugini Lunelli. Ferrari non ha bisogno di presentazioni, il Perlé zero, sì. Siccome si tratta di uno chardonnay di montagna, di diverse annate (2006, 2008, 2009) e di diversi passaggi (acciaio, legno, vetro, come sono stati anche chiamati i tavoli), a celebrare con la cucina l’ultimo nato Ferrari (bella anche la bottiglia con quel verde fagiolo) sono venuti due chef di montagna che si sono divisi le portate: tartare di coregone, squame croccanti e olio al levistico, ravioli anatra e salsa koji dalla mano di di Norbert Niederkofler; filetto di vitello, foglie di cavolo, nasturzio, zuppa di funghi, miele, noci, polline e rabarbaro di Alfio Ghezzi, il cuoco di casa Lunelli. (nella foto in basso i due chef con Camilla e Matteo Lunelli).
Il Perlé Zero è sintesi e sottrazione, come ha spiegato Marcello Lunelli, l’enologo della famiglia. Non un semplice “pas dosé” ma un mosaico di millesimi frutto di un sapiente lavoro in cantina e dall’affinamento con i diversi materiali di cui parlavamo (espressione del frutto e dell’eleganza aromatica dello Chardonnay); legno (struttura e ricchezza gustativa); vetro (profondità ed espressività). Giace in bottiglia per almeno per sei anni, senza aggiunta di zuccheri. Quella presentata è la Cuvée Zero 10, dall’anno in cui è stata messa in bottiglia.
Il perlage non è aggressivo, ma persistente. Ha la sapidità giusta per accompagnare un ricco menu o per dare gusto a un momento importante. Un bel vino. Prosit