Calcio & Sport CORONAVI

Published on febbraio 24th, 2020 | by Perri

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Il calcio al tempo del “coronavirus”: sulla fragilità e sulla stupidità degli umani

Il calcio ai tempi del Coronavirus, o Covid-19, ci regala una sensazione che abbiamo già vissuto. Ma con qualcosa in più. Non è la solita sensazione di privazione e di rabbia per la nostra passione cancellata da un evento esterno, per la storia fermata dalla cronaca, spesso nera. Stadi deserti, televisione con i tradizionali canali calcistici con il monoscopio, silenzio radio. Resistono solo le partite di Genova e di Roma, una alle 12.30 e una alle 18. Metà serie A ferma e poi tutto il resto del calcio e dello sport in stallo. E proprio lo sport, declinato in diverse discipline, ha portato il paziente uno a contatto con molte persone, addirittura in regioni diverse. Lo sport è qualcosa che unisce, che varca le barriere, che oltrepassa i muri, ma in questo caso ci divide. Non ferma le guerre, com’era nella speranza di chi ha fondato l’Olimpismo moderno, però vive nonostante le guerre. Neanche gli orrori della Seconda Guerra Mondiale riuscirono a bloccarlo, infatti, il campionato di serie A si giocò fino al 1943 mentre già l’Italia combatteva da tre anni, poi venne sospeso fino al 1945. Si continuò comunque a giocare a livello locale, e nel 1943-44 nell’Alta Italia si disputò un torneo molto simile al campionato, per il livello tecnico dei partecipanti, che venne conquistato dai Vigili del Fuoco di La Spezia.

Negli ultimi trent’anni, invece, il calcio si è fermato per scioperi, serrate e, ahinoi, per morti violente, per morti assurde, come quella del tifoso del Genoa Vincenzo Spagnolo (1995) assassinato da un tifoso del Milan e, nel terzo millennio, per quella dell’ispettore di polizia Filippo Raciti (2007) ucciso negli incidenti seguiti a Catania-Palermo. Infine, due anni fa, stop al calcio per la morte improvvisa del capitano della Fiorentina, Davide Astori.

Nelle ultime occasioni abbiamo avvertito i sentimenti elencati all’inizio, ma ora c’è qualcosa di più. Questa volta il calcio, si ferma ma non per qualcosa che è accaduto o che sta accadendo, ma per qualcosa che non è ancora accaduto pienamente, che temiamo possa accadere, di cui sappiamo ancora poco, di cui non conosciamo completamente l’entità. E questo fa paura. Però dovrebbe anche aiutarci a riflettere sui fardelli inutili con cui zavorriamo la nostra passione per il calcio. Ma il discorso potrebbe essere ampliato e riguardare altri aspetti della nostra esistenza. Basta così poco per travolgere la nostra quotidianità, per cambiare il volto delle nostre domeniche, delle nostre vite. Tutti i riti a cui partecipiamo sono stati sospesi, spostati, dalle Sante Messe alle partite di calcio, dalle feste per carnevale alle lezioni nelle scuole e nelle università. Almeno per chi vive nelle province e nelle regioni dove il virus si è diffuso. Questa volta il calcio si ferma con una sensazione nuova, indeterminata. Perché ancora non sappiamo come si proseguirà, perché si avvicinano importanti gare, nazionali e internazionali, perché lo show deve andare avanti, perché le partite si sono moltiplicate e riempiono tutte le caselle e già recuperare gli incontri cancellati ieri sarà problematico. Già si parla di partite a porte chiuse, di limitazioni, di privazioni.

Fermiamoci un momento a riflettere. Il nostro calcio è fragile, è come noi esseri umani, in balia di un filo d’aria viziata, dei capricci del clima, della mancanza di prevenzione. Dovremmo trattarlo meglio, dovremmo rispettarlo, dovremmo rispettare noi stessi e gli altri. Se non lo impariamo in questi momenti non lo impareremo mai più.

PUBBLICATO SULLA GAZZETTA DI PARMA IL 24 FEBBRAIO 2020

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