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Published on agosto 3rd, 2022 | by Perri

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In ricordo di William (lui si vedeva con la W) Vecchi, portiere, allenatore di portieri, hombre vertical

In ricordo di William Vecchi, un portiere, un uomo, una persona a cui ho voluto bene. Che il viaggio gli sia leggero. Pubblico l’intervista che gli feci per la serie “Campioni di Milano” su Il Giornale nell’inverno del 2021.

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Ma Villiam con la “V” o con la “W”? “Come vuole. Io mi vedo con la W”. William Vecchi è di Scandiano (28 dicembre ’48), ai piedi dell’Appennino Reggiano. Portiere, al Milan 1963-74 è stato vice di Cudicini poi titolare, conquistando 1 Scudetto, 1 Coppa dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale, 2 Coppe delle Coppe, 2 Coppe Italia. Storico preparatore dei portieri di Carlo Ancelotti ha seguito, tra gli altri, Buffon, Dida, Casillas, vincendo 3 Champions League e molto altro.  

Lei è tornato a vivere dov’è nato. 

“Sì, a Scandiano, con mia moglie, vicino ai miei due figli. Purtroppo i miei genitori sono morti, ultranovantenni”.

Cosa facevano i suoi? 

“Il parmigiano reggiano. Mio padre per 45 anni è stato casaro, aiutato da mia madre. I contadini portavano il latte e lui faceva i formaggi”. 

Gli anni tra dopoguerra e boom economico. 

“Sono cresciuto bene, non ho patito la fame. Eravamo in campagna e avevamo tutto: maiali, conigli, galline. E naturalmente latte, formaggio, burro”. 

Com’è arrivato al pallone? 

“Giocavo in canonica. Un talent scout di Reggio voleva propormi in giro ma io stavo bene, non volevo muovermi. Allora mi portò, con altri ragazzi, a Milanello appena inaugurato. Un centro tecnico all’avanguardia. Al Milan, ho passato 23 anni”. 

Portiere si nasce o si diventa? 

“Io ci sono nato. Mi piaceva tuffarmi per terra”.  

A Milanello com’è andata? 

“Eravamo nella dependance: quattro in dieci metri quadrati. Sveglia alle 6 del mattino, ci portavano ad Albizzate a studiare. Per quattro anni. Il primo stavo per cedere. Però giocavo, allora ho resistito. L’unico svago era andare a piedi a Carnago, due volte la settimana. E non ho detto Las Vegas”. 

 Quando è cambiato qualcosa? 

“C’è stato a Milanello, no? Sul corridoio del ristorante si aprono due porte. A destra c’è la sala dei ragazzi. A sinistra pranza la prima squadra. Quando ho svoltato a sinistra è stato il più bel giorno della mia vita. I camerieri che prima mi davano del “tu” sono passati al “signor”. Avevo una camera singola e la chiave del cancello. Una botta di vita”. 

Ma non è andato via? 

“E perché? Dopo quattro anni di purgatorio quello era il paradiso. Non è che guadagnassi tantissimo. Avevo vitto e alloggio, con l’auto andavo dove volevo. Poi mi sono sposato presto, a 23 anni. Ho preso casa a Gallarate”. 

Ha esordito nel derby, anno 1968. 

“Cudicini si era fatto male, sono entrato gli ultimi venti minuti. Quell’anno il Milan ha vinto campionato e Coppa delle Coppe. Io giocavo in tutte nazionali giovanili. Chiesi a Nereo Rocco di lasciarmi andare, ma lui rispondeva: appena smette Fabio giochi tu. Non c’era rivalità, ho sempre ammesso che Cudicini era più bravo di me. Eravamo amici e fino al 1972, quando ha chiuso, dormivamo insieme. Io volevo solo una squadra per giocare”.

Com’era l’ambiente di quel Milan? 

“Normale. Il problema era che stavamo sempre in ritiro, delle mazzate allucinanti. Giocavamo a biliardo, a carte e facevamo la fila per telefonare. C’erano solo tre cabine”. 

Parliamo del maggio 1973, il suo momento più intenso, nel bene e nel male.

“Dall’altare alla polvere. Battemmo il Leeds conquistando la Coppa delle Coppe. Divenni “l’eroe di Salonicco”. Il terreno era spaventoso, ma adatto alle mie caratteristiche, io sono reattivo. La domenica andammo a Verona convinti di conquistare lo scudetto della stella e perdemmo 5-3. L’abbiamo presa sotto gamba. Ci siamo consolati con la Coppa Italia. Parai i rigori a Bettega e Anastasi”.  

Dopo andò a Cagliari dove Gigi Radice la chiamava… 

“…Micio. Gigi mi voleva sempre, al Torino, al Milan, ma c’era il vincolo e dovevi andare solo dove voleva il club”.

Ha finito a Modena, senza giocare. 

“Ho fatto la preparazione poi gli ho dato il contratto indietro: non gioco più. A Reggio c’era Romano Fogli. “Mi dai una mano?”. Allora non esisteva l’allenatore dei portieri, né c’erano gli staff tecnici di adesso”. 

La svolta con Carlo Ancelotti. 

“Devo tutto a Luca Bucci che allenai alla Reggiana. Fece di tutto portarmi al Parma. Doveva venire Capello, invece spuntò Ancelotti. Siamo stati insieme quindici anni. Mi voleva portare dappertutto ma non volevo girare. Alla fine sono stato abbagliato dal Real Madrid. “Non puoi non venire qui”. Abbiamo vinto “la Decima” Coppa dei Campioni. Però è stata dura”.

In che senso? 

“In senso personale. Il primo anno i giornalisti spagnoli mi hanno massacrato perché non giocava Casillas. A Carlo scappò: lascio decidere a Vecchi. Quello che non mi hanno detto. Dietro la porta del riscaldamento, al Bernabeu, mi urlarono per un anno: torna a Milano. Il secondo facemmo l’alternanza in Coppa e andò meglio”. 

Il segreto di un grande allenatore dei portieri? 

“Lavorare tanto, un rapporto sincero, evitare di fare il fenomeno. E poi il colloquio: un allenatore può anche non parlare sempre, chi segue i portieri deve farlo. Ho avuto Buffon, Abbiati, Dida Casillas. Tutti diversi. Gigi è simpaticissimo, molto aperto. Con Dida mi sento ancora adesso”.

Come passa il tempo? 

“Sono pensionato e mi annoio. Guardo il calcio, il tennis che mi piace tanto. Fino a tre mesi seguivo, da volontario, le giovanili della Reggiana, ma non mi posso ammalare di Covid”. 

Però sta bene. Ha sempre una bella voce. 

(ride) “Qualche collega mi chiamava l’ammaliatore”. 

Da insegnante come vede i giovani calciatori? 

“Eh, non hanno l’amore di una volta, non fanno gli stessi sacrifici. Noi avevamo solo il pallone, loro scarpette, social, telefonini. Sul campo si comportano bene, fuori è dura, tante distrazioni. Emergono di più quelli dell’Est o gli africani. Hanno più fame di noi”.

Il suo amico Ancelotti lo sente? 

“Ogni tanto. Lo seguo sempre. Il suo Everton dovrebbe essere sempre in trasferta, purtroppo lo fanno giocare nel suo stadio”. 

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